Entro la fine del 2018, Intel metterà a disposizione i nuovi chip protetti contro le vulnerabilità che sono state individuate nei processori più diffusi, come quelli presenti negli smartphone e nei computer. La compagnia è stata colpita dal caos Spectre e Meltdown, e per questo ha deciso di puntare su una rivisitazione di tutta la produzione dal punto di vista dell’hardware.
Gli esperti del settore hanno messo in evidenza che gli interventi eseguiti direttamente sulla realizzazione dei processori rappresentavano il solo modo per evitare il riproporsi delle falle che sono state identificate. Così, il ripensamento della produzione garantirà modalità più sicure per la gestione dei dati, che sarebbero state impossibili se Intel si fosse limitata a distribuire aggiornamenti software.
Che cosa cambierà
L’ad di Intel Brian Krzanich nel corso di una conferenza con gli investitori ha indicato gli interventi tecnici messi a punto dagli ingegneri per fare sì che già dalla fine di quest’anno gli assemblatori di dispositivi elettronici abbiano la possibilità di includere nei rispettivi chassis delle CPU sicure.
Non sono ancora state rese note le modalità con le quali si verificherà il cambiamento: non si sa, infatti, se i cervelli in silicio rientreranno in una famiglia nuova di prodotti o se i cambiamenti riguarderanno chip che sono già stati immessi sul mercato, ma quel che è certo è che il loro arrivo determinerà una cesura importante tra prima e dopo.
Nessuno più sarà interessato ad acquistare un tablet, uno smartphone, un computer portatile o un computer desktop colpiti dai bug che rientrano nel caso Spectre e Meltdown.
E la protezione software?
Per trovare un rimedio parziale alla situazione i marchi hi-tech più importanti hanno proposto i fix, vale a dire gli aggiornamenti di sistema finalizzati a rendere l’esecuzione speculativa non pericolosa.
Proprio questa costituisce il processo finito nel mirino: si tratta della funzione attraverso la quale viene resa più rapida la risposta del dispositivo a varie operazioni, grazie alla memorizzazione di dati che, in questo modo, possono essere richiamati in maniera istantanea (dati che tuttavia non sempre sono risultati inaccessibili a terzi: un bel problema, visto che tra di loro ci sono anche dati sensibili).
Le conseguenze
La diminuzione delle performance dei dispositivi meno recenti costituisce la conseguenza dello spegnimento del processo al centro delle contestazioni. Non si tratta di questioni di millesimi di secondo di differenza, poiché dopo un comando i feedback possono essere molto più lunghi.
Per il momento non sono state individuate prove relative alle ripercussioni di tali falle, che – per quanto se ne sa – non sono ancora state sfruttate dai cyber criminali. Ma ciò non toglie che i pericoli potenziali siano evidenti.
Aspettare il prossimo anno
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Tale consiglio non riguarda unicamente i dispositivi con sistema Windows, ma anche – per esempio – gli smartphone con sistema operativo Android, gli iPhone, i computer Linux e i computer macOS, poiché le CPU infette possono essere presenti anche nei device mobili.
Secondo un’indagine di riCompro, addirittura oltre la metà dei telefoni cellulari usati in Italia è esposta a rischi.
I problemi di Intel
Intel si trova alle prese con altri guai legali, che non derivano solo dalle class action che sono state avviate in varie parti del mondo, ma anche dal fatto che – secondo indiscrezioni – il team Project Zero di Google avesse reso note già da tempo le problematiche riscontrate: fa fede una comunicazione inviata da Intel nel novembre del 2017.
Pochi giorni dopo, Krzanich aveva venduto le proprie azioni per un totale di undici milioni di dollari: come diceva Totò, troppe coincidenze che coincidono.